Parole scritte per ‘vedere’ l’indicibile dolore del bullizzato

Il tempo dilatato di questi giorni ha fatto conquistare spazio alle (troppe) letture tralasciate: libri arrivati, articoli suggeriti, riviste accantonate…

Un diario, regalatomi – mi vergogno a dirlo – 3 anni fa da chi sapeva quanto mi interessasse l’argomento, ha preso la sua rivincita e mi ha conquistato il cuore. E’ parte di un libro (un ‘libricino’), “Rester fort“, pubblicato per volontà dei genitori della giovane autrice. Perché lei, Emilie, era morta da un anno. Si era gettata dalla finestra non ancora diciassettenne per morire un mese dopo. 

Nei brevi capitoli, con parole gestite con una certa sapienza, Emilie riporta le irrisioni, le vessazioni, le minacce, ricevute dai compagni del collegio prestigioso. Già: perché lei, amante della lettura, sensibile ai problemi degli altri, ambiente o animali che fossero, non si interessava alle “stupide discussioni” sui vestiti di moda: “barbona”, le gridavano. E doveva passare la giornata a “schivare colpi, calci, sputi…”. La spingevano a terra, le buttavano addosso fazzoletti sporchi, sputavano chewing gum tra i capelli… Quanto dolore. 

Trovava serenità, Emilie, nei libri, che amava “come suoi figli“: e loro li buttavano nelle scale. Un po’ di sollievo nel calvario quotidiano lo conquistava chiudendosi nella toilette: “Il solo angolo di questa fottuta scuola dove sono sicura di stare tranquilla. Purtroppo, questo momento non dura che un breve momento…”.

E poi scriveva. Prima piccole poesie, poi sul computer. Le parole scritte si caricano delle emozioni che rimangono senza voce, imprigionate nel corpo, gridate dal corpo.

Purtroppo, in genere, gli adulti non sanno ascoltarle. La scuola tende a banalizzare, a passare oltre: troppo complessi sono i progetti presentati da chi il bullismo sa cosa sia; i genitori pensano alla ‘crisi adolescenziale’, magari potenziata da un divorzio. Quando il corpo di Emilie arriva a pesare 42 chili, allora, qualche cosa bisogna pur fare: si cambia scuola, le si sta più vicini. Ma è tardi. 

Quello che si chiama bullismo ha fatto un’altra vittima. Il “muro di silenzio” (così lo ha definito Ada Fonzi che tanto sul bullismo ha scritto) si è rotto troppo tardi.

Le parole iniziali di Emilie sono per la sua famiglia, per gli amici, ma non solo: 

A quelli che subiscono la vita.

A tutti quelli che lottano.

Restate forti.

Battetevi.

Alla fine, se ne esce“.

Una speranza: che è giusto, in nome del suo dolore, coltivare.

Anna Rita Guaitoli