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L’orientamento quale intervento pedagogico

L’orientamento scolastico ha già una sua storia che parla del fallimento sia di orientamenti “pre-dittivi” rispondenti a sola logica adattiva, sia di orientamenti puramente informativi. E’ stata l’esperienza concreta, quella che si fa sul campo […] a dimostrare che l’orientamento debba essere considerato come una serie di attività da proseguire nel tempo, da verificare in tappe, da realizzarsi con una alleanza di più figure professionali. […] Sebbene già da Vygotskij il processo psichico si sia andato definendo come insieme di processi intellettivi e affettivi, troppo spesso ci si dimentica di tarare il peso del bagaglio affettivo sulla bilancia di un orientamento davvero formativo. Eppure, è già stato teorizzato come proprio la rilevazione affettiva-emotiva da seguire nel corso dell’iter scolastico (magari nel famoso dossier) potrebbe disinnescare quei perversi circoli viziosi che si autopotenziano : sia nel percorso “classico” disagio/insuccesso scolastico/disagio ; ma anche nel percorso meno clamoroso, e proprio per questo più insidioso, disagio/ riuscita scolastica tramite adattamento passivo alle regole/ disagio. […]

Nel rispetto del termine “pedagogico” che va ad indicare l’azione per formare, i progetti di orientamento da me portati avanti, avevano come impegno prioritario, il non volere dare un giudizio definitivo, il non volere che il consiglio orientativo fosse determinante: si voleva invece disegnare un profilo capace di presentare alcuni aspetti della situazione affettiva e cognitiva di quell’allievo in un momento del suo percorso.

Definiti quattro campi di indagine intorno ai quali si è organizzata una scheda […], nell’ottica non predicatoria di un orientamento che sia auto-orientamento a partire dalla conoscenza di sé, […]  si è offerta chiara indicazione di “punti forza”, tutti quelli che con tranquillità scientifica era possibile rilevare e sui quali si poteva far leva per un proseguimento sereno degli studi.

Dopo una spiegazione generale, classe per classe, […] si è aperto un colloquio (volontario) davvero interessante con ragazzi… genitori… docenti.

E’ stato il calore di queste risposte a confermarmi, nell’orientamento, la necessità di un colloquio con valenza di sostegno orientativo e di valorizzare figure che siano “guida agli aspetti cognitivi e relazionali”, capaci di attivare quella relazione di aiuto sulla base di un ascolto che è fondamentale per entrare in contatto con ragazzi (che o non dicono, o dicono dietro lo schermo di una iper-razionalizzazione). […]

Il grafologo, certo, dispone di un mezzo privilegiato quale la scrittura […] per ascoltare in silenzio e dirgli, poi, quello che lui, probabilmente, già sa, ma non vuole accettare per paura di una sofferenza mentale.

Insomma, se parliamo di un orientamento che abbia forte valenza pedagogica, c’è quanto mai bisogno di un adulto competente, che sappia ascoltare. L’ascolto è attività complessa, per cui non basta raccogliere dati, non basta avere buona volontà; ma non basta essere nemmeno psicologi, se non si possiedono le competenze di un approccio dinamico peculiari dello psicologo clinico (sono risultati proprio gli psicologi all’ultimo posto in quanto capacità di supportare emotivamente i malati terminali: inchiesta di “Altro consumo”, n 133, 2000).

Comunque, se vogliamo continuare a credere nella validità dell’orientamento, il problema non è certo di assolutizzare, o demonizzare, alcuna figura: c’è, invece, l’esigenza preliminare di introdurre le competenze relazionali nella formazione degli insegnanti (peraltro già stigmatizzata nel documento MURST-MPI del 23/4/97) ; e c’è la necessità di creare, sperimentandola nella pratica, una sinergia tra professionisti diversi grazie alla quale impostare quella strategia complessa di orientamento in una logica di prevenzione […]. E prevenire, che non è solo impedire, diventa azione di supporto alla crescita, orientando: per fare stare bene.

Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione al Convegno “Le potenzialità grafologiche nell’orientamento scolastico” (Bologna, 2 maggio 2004) 

Incidenza delle condizioni di partenza

Il percorso che porta il cucciolo dell’uomo alla maturità, è lungo.

Molte delle teorie postfreudiane hanno puntato il fuoco sulle dinamiche relazionali. Erikson, per esempio, ha obbligato a considerare l’importanza delle relazioni anche come interdipendenza tra rapporti sociali e crescita organica. Soprattutto, ha contribuito a correggere la visione ”adultocentrica” propria della psicoanalisi prima maniera dando spazio al soggetto bambino, già persona nella sua realtà emotiva e nelle sue modalità relazionali. In primis, ovviamente, ci sarà il rapporto madre-figlio. Ma riconoscere l’importanza di quello che Bowlby ha definito “attaccamento”, saperne individuare le modalità, non può, e non deve, dare l’avvio a un sistema deterministico. Sono ormai numerose, e del resto verificate nella prassi, le riflessioni su quanto le nuove relazioni (tutte le relazioni) possano modificare anche i modelli operativi dell’attaccamento negativo (insicuro-ansioso ambivalente; insicuro-ansioso evitante) attivando una ristrutturazione cognitiva ed emotiva di quelle prime esperienze negative. […]

La scrittura, che è prodotto personale, che è sintesi di quel vissuto che ha mobilitato strutture di carattere, energie, relazioni, offre un terreno davvero prezioso per favorire l’incontro tra chi cresce e l’adulto competente che vuole sapere per aiutare. […]

Soprattutto chi opera nella scuola deve possedere una concezione dinamica della persona, con la possibilità di evoluzione continua, seppure con modalità, tempi e caratteristiche diversi : insomma, deve avere la fiducia nel cucciolo d’uomo. […]

Quando penso all’analfabetismo affettivo della scuola (di cui troppi parlano senza farne parte), penso all’incapacità dei più a gestire le complesse dinamiche della crescita; a gestire la fatica e la sofferenza emotiva che accompagna l’incontro con l’altro; a come dare spazio all’interlocutore: anche alla sua rabbia, o al suo vuoto, o al suo “lutto”. So per esperienza quanto possa essere “dirompente” la modalità di relazione con un alunno “difficile”: che non vuole studiare, che si stanca, che disturba, che si agita, che si isola… Bisognerebbe sapere perché.

La grafologia non può vedere tutto. Ma, certo, individua con sufficiente attendibilità quei blocchi emotivi-affettivi che vanno ad ostacolare i processi di apprendimento.[…]

Utilizzando uno strumento che i giovani accolgono con favore, senza avvertire la diffidenza che provano per i “test”, si può, insieme a chi scrive, dare avvio alle tre operazioni (decondizionamento, promozione, autocontrollo) necessarie per affrontare le condizioni di partenza, risolvere le difficoltà scolastiche, aiutare il progetto-uomo. […]

Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione al convegno ”L’orientamento e suoi percorsi” patrocinato dalla Provincia di Roma (12 dicembre 2000)

Uno strumento per conoscere e orientare: la grafologia

Lentamente, ma inesorabilmente, l’orientamento scolastico sta prendendo atto del fallimento di attività orientative che puntano solo ad “appiccicare” una etichetta a chi sta affrontando la fatica di crescere.

[…] Si è ormai dimostrato quanto costi a livello di comprensione, oltre che di orientamento, “stralciare” nelle prove tarate e quantificate  per tutti, la parte emozionale. L’esperienza costruttiva (fatta di identificazioni, bisogni, desideri) viene sottovalutata, se non sorvolata del tutto. Peccato: perché quel “sapere” permetterebbe di attivare l’empatia, che è alla base del rapporto di relazione che ha come centralità l’altro; necessaria soprattutto se l’altro è persona in fase di crescita, con le sue emozioni confuse. […]

Una volta conosciuti, questi vissuti emozionali andranno organizzati, gestiti;  e utilizzati. E qui è necessario l’intervento di adulti che abbiano competenze specifiche per relazionarsi, prima, e aiutare, poi, il ragazzo.

Spesso nella scuola questa necessità che definiamo “relazionale” si è risolta con un docente attento e generoso. Ma le sempre più complesse dinamiche della crescita legate alle nuove problematiche che avanzano, non permettono più tanta spontaneità: occorre avere un metodo che sia capace di avviare quella relazione di aiuto di cui ormai tanto si parla.

Ovviamente non c’è solo un metodo. Ma di certo la grafologia, come qualcuno ha riconosciuto, è stato, e lo è, “mezzo diagnostico formidabile quanto inatteso”.

Perché la scrittura, espressione di un comportamento individuale, è un linguaggio che permette una comunicazione “in profondo”. Tanto più utile oggi in cui si avverte una sempre maggiore difficoltà alla verbalizzazione, che già, in adolescenza, è spesso “schermata” – come ci ha insegnato Anna Freud – da specifici meccanismi di difesa.   […]

Si fanno incontrare i giovani con le industrie; si portano a vedere i luoghi di lavoro, più velocemente che i giapponesi il Colosseo: tutto importante, perché stimolo. Ma il fatto che i giovani possano diventare, ognuno, “protagonista di un progetto di vita”, magari facendosi consapevole dei propri sogni ma anche delle proprie potenzialità, questo aspetto viene sempre disatteso. L’analisi grafologica, che parte dal prodotto suo, può davvero aiutare la persona in crescita a comprendere se stesso in rapporto alla realtà che vive, cercando di fargli conquistare il significato di ciò che fa: perché proprio attraverso l’azione dello scrivere egli possa conoscere e conoscersi; e attraverso l’incontro con l’altro possa uscire da sé, e confrontarsi. […]

Si potrà così riflettere sulle motivazioni della scelta, spesso accidentali (amici, genitori, vicinanza…): verificando la coerenza tra indirizzo scelto e potenzialità individuali, si potranno confermare le scelte, ma si potranno anche individuare percorsi alternativi…

Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione al convegno “Orientiamoci… nell’orientamento” organizzato dalla regione Lazio (6 dicembre 1999)