Se la lezione digitale oscura la bellezza

Lo rubo, questo titolo, modificandolo leggermente, da un pezzo sul valore simbolico delle parole.

La mia riflessione in questo caso si sintetizza in un semplice NO.

Mi allontano così dalla poltiglia dolciastra di commenti entusiastici per la nuova era della lezione digitale.

La lezione non è, se non in rari casi possibili (appunti tecnici, riassunti; e un apprendimento di base come fu nella TV del tempo passato), un insieme di parole: siano pure colte, coltissime. Resteranno senza anima.

Un antropologo, tanto tempo fa – si chiamava Marcel Jousse – aveva detto che nel gesto c’è la relazione con il mondo: le mani, subito, disegnano il ritmo che dà senso alla parola. Il ritmo del gesto nato dal sentire profondo di chi parla, trasforma, allora, la parola in pensiero.

Ed è nel ritmo, nella comunione-rimando con altri ritmi (magari con il ritmo lento di chi sbadiglia; magari con quello furtivo di chi nasconde qualcosa sotto il banco; ma magari con il ritmo intenso di due occhi che si illuminano per una nuova curiosità) che la lezione assume bellezza.

E’ brutta la voce distorta. Sono brutte le facce sparate in primo piano che perdono la flessibilità della mimica, del corpo in movimento.

Ma cosa fa in classe chi propone gli entusiastici commenti? Ma ci sono mai andati in classe, i laudatori di oggi?

Anna Rita Guaitoli